Capitolo  12  epilogo

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Bighellonavo in studio ragionando fra me, spicciavo qualche lavoretto, immaginavo il nuovo pezzo, poi quello dopo, e mi vedevo vecchio bacucco semisommerso dalle ceramiche invendute.

Bussarono.

Dei tre tizi sull'uscio, il più grosso mi fa: "Lei, è il signor Gattamorta Alan?"

 "In persona!"

  "Noi, siamo carabinieri! Abbiamo mandato di perquisire questo locale, l'ordinanza porta un numero civico sbagliato ma fa lo stesso, e siamo autorizzati a sfondare la porta, e fermare chiunque si trovi qui dentro!"

 "Ah sì?!"

  "Certo, che si! E lei ha il diritto di far presenziare la perquisizione al suo avvocato, purché arrivi in un tempo ragionevolmente breve."

 "Avvocato? Che avvocato vuole che abbia? Cosa vuole che me ne faccia, di un avvocato? Se sono obbligato a ricevervi, venite pure avanti."

Si spicciarono. Quello giovane scattò le fotografie, un altro si tenne in disparte, il grosso disse che avevo impiantato una fabbrica, e mi ritrovai nel cortile a fissare il laboratorio sigillato con lo scotch.

Non mi capacitavo. "Forse, sto sognando!" pensai "Ma come si permettono, questi? E' un'interferenza inaudita, un sacrilegio, uno scandalo, oppure, cos'è? Cosa dovrei pensare? Dovrei forse supporre che dal mio studio potevano stanarmi ormai soltanto i carabinieri? Certo che sì! Per cui involontariamente, può darsi che mi abbiano fatto un favore."

 

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